irresistibili le considerazioni di Michele all’uscita dell’ennesimo “social qualcosa summit”. Non potevo non riportarle qui io che sono la regina del “COPIAEINCOLLA” ! giammai e poi mai!
enjoy!
Mi capita, ogni tanto, di partecipare ad un convegno, workshop, seminario, evento, etc dedicato ai temi della comunicazione e del marketing digitale, dell’innovazione e della customer experience, tema quest’ultimo di gran moda ma capito da pochi e da molti confuso con il più prosaico CRM, più o meno evoluto ed esteso ai social media.
Questi convegni sono quasi sempre basati su un’agenda composta da: interventi + tavole rotonde + casi studio, espressi in buona parte dai vari sponsor aderenti (glod, platinum, bronze, di legno), ci mancherebbe.
Mea culpa che reitero, è raro che si ascolti qualcosa di interessante e che accenda la lampadina. E’ invece assai probabile assistere alla presentazione di uno o più fuffanti.
Il fuffante è un “consultant” e/o “qualcosa e poi manager” che te la viene a raccontare, spiegandoti il perchè e per come non hai capito un tubo circa quello che succede nel mondo digitale connesso always on.
Tipicamente non l’ha capito neanche lui, ma bisogna pur campare. I fuffanti più bravi riescono a volte a convincere la platea (o parte di essa) delle proprie teorie, ricevendone un’investitura a “guru”.
Le slides che fanno da cornice alle presentazioni sono quasi sempre scopiazzate qua e là, e difficilmente esprimono uno sforzo intellettuale e creativo realmente originale.
Dato che, specialmente quando si ha a che fare con professionisti, non è così facile rendersi conto di avere di fronte un fuffante, vi elenco quelli che – a mio avviso – sono i segnali che devono farci alzare le antenne.
Più indizi riscontrati nel medesimo speech indicano un’alta probabilità di fuffanteria.
Potrebbe essere un fuffante…
…se fa il simpatico ma si capisce che è un pò forzato.
…se durante il discorso usa tutte le seguenti parole (fare checklist): social, facebook, twitter, steve, jobs, engaging, experience, strategy, follower, target, intelligence, customer.
…se rivolgendosi alla platea chiede “c’è qualcuno che…” oppure “alzi la mano chi…” oppure “chi di voi…”.
…se fa partire un cronometro rendendone edotta la platea per far capire che rispetterà i tempi concessi per lo speech.
…se cita il libro “cluetrain manifesto”.
…se infila qua e là qualche parolaccia e/o espressione gergale, tipo: “fanculo”, “cazzo/i”, “stronzata/e”, “dovete morire” per colorire l’intervento.
…se cita gli altri speaker, soprattutto quando sono manager di aziende importanti, come se fossero amici d’infanzia quando in realtà non si sono mai visti e solo perchè sono seduti allo stesso tavolo (es: “come diceva Giorgio…”, “quello che hai detto Marco è corretto…”, etc).
…se non si abbuffa al catering (contrariamente a quanto si possa immaginare approvigionarsi – se possibile con stile – al buffet è segno atavico ed umano di appartenza alla stessa comunità, secondo la regola che “davanti al buffet siamo tutti uguali”).
…se non è interessato a parlare alla platea ma a potenziali clienti. Lo si capisce osservandone i comportamenti durante le pause, al buffet e al termine dell’incontro.
…se nel biglietto da visita il suo ruolo è descritto da tre o più parole, spesso associate in maniera inedita o casuale, tipo: digital transformation strategist, head of social media, qualcosa di tosto consultant.
Il fuffante è redento quando ad esempio riesce a dire, al cliente di turno azienda leader nella produzione di insaccati, che l’idea di aprire un blog sul sito aziendale è una stronzata.
Cheers
[a me sono venuti in testa subito un paio di nomi “altisonanti” della socialsfera…a voi?? ]
[[image above: thank’s Hugh MacLeod!!]]