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Grazie Rita.

A Rita Levi Montalcini le donne di tutto il mondo devono un ricordo e un ringraziamento.

Con lei si è fatto emblema il talento femminile di orientare e governare lo sviluppo dell’intelligenza collettiva, la forza nel coraggio di difendere l’integrità personale, l’enorme capacità di illustrare con i fatti, e non a parole, l’etica pubblica.

Con immensa gratitudine RIP

Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella “zona grigia” in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva, […] bisogna coltivare […] il coraggio di ribellarsi.
Rita Levi Montalcini

Ogni articolo classificato come “perle di saggezza” non è il prodotto dei miei esercizi intellettuali. Più semplicemente si tratta di un copia incolla di storie o pensieri altrui che condivido al 100% e che quindi posto qui a beneficio dei milioni di lettori che seguono questo blog. 

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Siamo all’inizio del terzo millennio. In questo momento della storia dobbiamo decidere fermamente di eliminare tutta la sofferenza inutile da questo pianeta che è la nostra casa.

Solo sforzandoci di realizzare questo obiettivo troveremo la chiave per far si che il nuovo secolo non ripeta quello appena trascorso, ma inauguri invece un’epoca di pace e di speranza.

Ora è il momento di costruire una nuova era splendente di umanità e di cultura, in cui la santità della vita venga prima di ogni altra cosa.

Abbiamo il compito di trasformare le strutture sociali che minacciano la dignità umana, al fine di realizzzare non una pace meramente passiva, l’assenza di guerre, ma una pace attiva e positiva, ricca di valori.

Ovviamente è importante rafforzare la cooperazione fra gli stati e perfezionare la struttura del diritto internazionale, ma ciò che conta di più sono gli sforzi creativi degli individui per sviluppare una cultura di pace, perchè solo in questo modo può essere costruita una nuova società globale.

[Sensei D.Ikeda]

A VOLTE SUCCEDE

L’abbraccio tra la 48enne italiana Fabiola Gianotti e l’83enne Peter Higgs ha qualcosa di emblematico.

La prima, fisica sperimentale e direttrice dell’esperimento ATLAS, basato su uno dei sei rivelatori del Large Hadron Collider (famoso per la gaffe – una delle tante – della Gelmini che ne aveva negato l’esistenza), più precisamente quello che insieme al CMS era stato appositamente previsto per la ricerca del bosone di Higgs, ha appena terminato di presentare i risultati dell’analisi delle informazioni raccolte in questi mesi in cui l’acceleratore ha finalmente lavorato ai regimi previsti.

Il secondo, fisico teorico britannico, attendeva da 48 anni la conferma che il campo quantistico da lui ipotizzato e costruito matematicamente nel ’64, non fosse una semplice quanto astrusa curiosità, come le non poche che finiscono nei cassetti (quando comparve l’ipotesi mio padre era studente – ricorda che a lui sembrò un’invenzione “ad hoc” – e in questi decenni se ne è parlato continuamente: lui dice che è straordinario aver potuto vivere abbastanza per assistere a una tale conferma).

Nessuno ha pronunciato la parola “scoperta”: i dati indicano la presenza di una particella di grande massa, più o meno nell’intervallo di energie (masse) previsto dalla teoria dell’inglese per il “mediatore” del campo da lui ipotizzato (circa 130 Gev/C2).

Ma l’atmosfera è eloquente.

Per chiarire: viene chiamata particella di Dio per un equivoco : il fisico Higgs,stremato dal suo lavoro, scrisse un libro che avrebbe dovuto intitolarsi “THE GODAMN PARTICLE” (particella maledetta) ma l’editore furbacchione cambiò il titolo in “THE GOD PARTICLE” per creare scalpore! La successiva errata traduzione dall’inglese in “particella di Dio”, anzichè di “particella Dio”, ha aggiunto un’ulteriore storpiatura.

Ma di che Dio si può parlare?

Questo esperimento focalizza la nascita di una nuova fisica che ci porterà a scoprire le particelle della materia e della energia oscura che riempiono il 96 per cento del cosmo, mentre la materia visibile stelle,pianeti e galassie sono solo il 4 per cento .

Momenti come questi servono (dovrebbero servire) a tutti noi.  È come riuscire ad aprire una finestra dopo una lunga permanenza in una stanza chiusa, appestata ogni giorno dalla tracimante invadenza di orribili individui e somari d’ogni genere: la sensazione di liberazione è persino esaltante.

Ok, sappiamo che la “ricreazione” dura poco. Ma visto l’oceano di pochezza, superficialità e meschinità in cui nuotiamo ogni giorno dedico questa “bellezza” ai miei,anzi ai nostri figli. Che questo segnale di speranza straordinario, seppure piccolo, è infinitamente meglio che niente.

(e grazie a mio papà)

wired moms rock.

happy valentine

PINTERESTantissimo!

bel titolo eh? originale, smart!! (ma te prego, il giorno che la smetterò di pretendere da me cose che non sono in grado di darmi sarà sempre troppo tardi) vabè considerazioni [altre] a parte: Mi sono imbattuta in questo nuovo “fenomeno” social che è pinterest e, grazie a Beatrice Nolli che ha sponsorizzato il mio ingresso, sono entrata nel meraviglioso mondo del re-pin.

Beatrice sostiene che il fenomeno è già “in auge” dal basso del mio pessimismo dico che ci vorrà ancora un po’ ma sicuramente Pinterest ha tutte le carte in regola per diventare il prossimo fenomeno sociale anche qui, da noi, in italia [auggghhh]. Quelli di Mashable dicono che cambierà radicalmente le regole del social commerce e secondo me non sbagliano.

Pinterest sta divendando un vero volano per Etsy promuovendo – attraverso i re-pin degli utenti – non solo il sito di crowdsocial commerce più famoso al momento ma soprattutto il nuovo stile di vita che ETSY rappresenta, cioè comportamenti d’acquisto virtuosi oltre che originali.

[fossi un grande brand sarei preoccupata non tanto della concorrenza tradizionale quanto di questo fenomeno emergente della corsa all’acquisto – almeno on line – del prodotto esclusivo creato firmato  dall’artigiano di nicchia che, grazie alla rete, ha opportunità di visibilià e promozione al pari dei grandi brand ….ah la democrazia del web…ma di questo parlerò un’altra volta…]

Pinterest, molto in sintesi, è una bacheca virtuale che consente agli utenti di condividere immagini e link che trovano interessanti o stimolanti. una volta condivise queste immagini diventano ” pin” che possono essere salvate su tavole tematiche che gli utenti possono personalizzare e suddividere per diversi argomenti. Una volta che qualcosa è stato “pinnato” può essere  “ripinnato” da altri utenti.

I membri possono usare il “Pin It” toolbookmarklet e app iPhone per salvare le cose che vedono online e offline, e possono esplorare e “Repinnare” le immagini che raccolgono i loro amici attraverso i newsfeed personali. Il sito è particolarmente popolare tra le donne, che rappresentano il 58% del traffico Pinterest, secondo Experian Hitwise. La popolarità del sito è in rapida crescita. Il traffico di PINTEREST è più che quadruplicato tra settembre 2011 e dicembre 2011, raggiungendo quota 7,51 milioni di visitatori unici nel solo mese di dicembre. La quantità di traffico inviato da Pinterest  verso fuori è aumentato di conseguenza e il sito, secondo Monetate,Pinterest è diventato uno dei top five referrer per il segmento fashion/abbigliamento.

“Pinterest fuziona perchè promuove uno stile di vita” 

Dice il suo progettista e co-fondatore Evan Sharp che sintetizza: ” Pinterest richiede un approccio più olistico al marketing, e può essere più efficace e coinvolgente rispetto alla pubblicità tradizionale, perché i consumatori possano davvero vedere come il vostro marchio si inserisce nella loro vita.”

Al di là di promuovere i propri prodotti, è anche possibile utilizzare Pinterest come un modo per trasmettere la cultura dell’azienda, le foto dell’ufficio, la mascotte, le persone, la pausa pranzo e gli eventi. I fan sono curiosi e  voyeur, sono interessati a questi aspetti e sono questi dettagli che avvolgono l’immaginario e aiutano ad umanizzare il brand.

Già, un brand più umano…

E’ questo il motivo per cui dopo meno di due anni di attività, Pinterest è già uno dei più popolari social network del mondo?

if small is the new big. human is the answer?

2011 in review

The WordPress.com stats helper monkeys prepared a 2011 annual report for this blog.

Here’s an excerpt:

A New York City subway train holds 1,200 people. This blog was viewed about 4.600 times in 2011. If it were a NYC subway train, it would take about 4 trips to carry that many people.

Click here to see the complete report.

IL FUTURO CHE VORREI

Oggi ho ricevuto una mail da Riccardo Tronci che ha messo su un blog partecipativo (come lo chiamiamo un blog parecipativo? plog? boh) in cui pubblica punti di vista diversi sul “che fare” di questa nostra società. E allora scrivo, così, di getto (quindi l’italiano è quel che è) questa risposta. Chè è un pò retorica però è davvero il futuro che vorrei.

Caro Riccardo, bella domanda.

Credo che siamo arrivati al punto in cui qualsiasi cambiamento o anche rivoluzione necessaria debba partire dal singolo individuo.
È tempo di stare uniti più che mai perchè l’interconnessione di tutti gli esseri viventi è il principio che se sostenuto salverà gli uomini se ignorato decreterà la nostra fine.Purchè il dover stare insieme non diventi l’alibi per ciascuno per non assumersi completamente, individualmente la responsabilità del risultato complessivo.

Ispiriamoci a quelli che rappresentano un esempio, penso a Danilo Dolci, penso a Calamandrei, a Gandhi, a Maria Montessori, alla Montalcini. Sono partiti da loro stessi, ecco, ispiriamoci a loro.

Nel futuro che vorrei, per me, soprattutto per i miei figli, c’è il sogno dell”omnicrazia”, (la gestione diffusa e delocalizzata del potere teorizzata  da Aldo Capitini negli anni 60) contrapposta al centralismo dei partiti.

Parafrasando lo stesso Capitini ma anche il più attuale Rifkin penso che il rinnovamento sia più che politico, e la crisi odierna è anche crisi dell’assolutizzazione della politica e dell’economia. Quindi?
C’è da lavorare, tanto, iniziando dalle nostre case, per promuovere una cultura della responsabilità, dell’autenticità, della non menzogna perchè oggi siamo tutti – chi più chi meno per carità – disperatamente contaminati e corrotti, nostro malgrado.

Non è più tempo di pochi eroi che salvano il mondo bensì il tempo in cui tutti dobbiamo imparare ad esserlo.
E c’è da promuovere la cultura dello sforzo, del coraggio individuale, dell’impegno costante per muovere verso un sistema che si fondi sui principi di apertura, compresenza, omnicrazia (ancora una volta: dell’impegno costante individuale- quindi collettivo-  alla gestione della cosa pubblica).
La cultura della non violenza, dell’educazione e e della civilità
La cultura del tempo aperto oltre il tempo libero cioè del  tempo da destinare alla discussione, alla socializzazione, al raccoglimento, all’elevazione spirituale.

Oggi il mio amico “di penna” Fernando E. ( un signore sulla settantina con cui dibatto in una “attempata” mailing list) mi scrive:

“Assodato che questo governo non ha nè il coraggio nè l’intenzione di adottare provvedimenti sgradevoliper non perdere consensi, ed avendo invece tutti ben chiaro  che  si tratta di medicina indispensabile per sopravvivere,stiamo assistendo a giri di valzer per scaricare su altri tale responsabilità. Potrebbe finire che i cittadini dovranno invocare d’iniziativa misure contro loro stessi, non trovandosi alcuno che voglia prenderle…”
fern
Ecco è tutta qui la sintesi di quella che dovrà essere la società nelle nostre mani.E viva questa tua agorà, che è un progetto bellissimo, e che sposa – guarda caso – queste idee qui.

Scusa tutta questa retorica ma non sono brava a scrivere e questa mail mi è venuta così.

Ciao!
Patrizia

»Io non dico: fra poco o molto tempo avremo una società che sarà perfettamente nonviolenta, civile, omnicratica… a me importa fondamentalmente l’impiego di questa mia modestissima vita, di queste ore o di questi pochi giorni; e mettere sulla bilancia intima della storia il peso della mia persuasione »
Aldo Capitini

irresistibili le considerazioni di Michele all’uscita dell’ennesimo “social qualcosa summit”. Non potevo non riportarle qui io che sono la regina del “COPIAEINCOLLA” ! giammai e poi mai!

enjoy!

Mi capita, ogni tanto, di partecipare ad un convegno, workshop, seminario, evento, etc dedicato ai temi della comunicazione e del marketing digitale, dell’innovazione e della customer experience, tema quest’ultimo di gran moda ma capito da pochi e da molti confuso con il più prosaico CRM, più o meno evoluto ed esteso ai social media.

Questi convegni sono quasi sempre basati su un’agenda composta da: interventi + tavole rotonde + casi studio, espressi in buona parte dai vari sponsor aderenti (glod, platinum, bronze, di legno), ci mancherebbe.

Mea culpa che reitero, è raro che si ascolti qualcosa di interessante e che accenda la lampadina. E’ invece assai probabile assistere alla presentazione di uno o più fuffanti.

Il fuffante è un “consultant” e/o “qualcosa e poi manager” che te la viene a raccontare, spiegandoti il perchè e per come non hai capito un tubo circa quello che succede nel mondo digitale connesso always on.

Tipicamente non l’ha capito neanche lui, ma bisogna pur campare. I fuffanti più bravi riescono a volte a convincere la platea (o parte di essa) delle proprie teorie, ricevendone un’investitura a “guru”.

Le slides che fanno da cornice alle presentazioni sono quasi sempre scopiazzate qua e là, e difficilmente esprimono uno sforzo intellettuale e creativo realmente originale.

Dato che, specialmente quando si ha a che fare con professionisti, non è così facile rendersi conto di avere di fronte un fuffante, vi elenco quelli che – a mio avviso – sono i segnali che devono farci alzare le antenne.

Più indizi riscontrati nel medesimo speech indicano un’alta probabilità di fuffanteria.

Potrebbe essere un fuffante…

…se fa il simpatico ma si capisce che è un pò forzato.
…se durante il discorso usa tutte le seguenti parole (fare checklist): social, facebook, twitter, steve, jobs, engaging, experience, strategy, follower, target, intelligence, customer.
…se rivolgendosi alla platea chiede “c’è qualcuno che…” oppure “alzi la mano chi…” oppure “chi di voi…”.
…se fa partire un cronometro rendendone edotta la platea per far capire che rispetterà i tempi concessi per lo speech.
…se cita il libro “cluetrain manifesto”.
…se infila qua e là qualche parolaccia e/o espressione gergale, tipo: “fanculo”, “cazzo/i”, “stronzata/e”, “dovete morire” per colorire l’intervento.
…se cita gli altri speaker, soprattutto quando sono manager di aziende importanti, come se fossero amici d’infanzia quando in realtà non si sono mai visti e solo perchè sono seduti allo stesso tavolo (es: “come diceva Giorgio…”, “quello che hai detto Marco è corretto…”, etc).
…se non si abbuffa al catering (contrariamente a quanto si possa immaginare approvigionarsi – se possibile con stile – al buffet è segno atavico ed umano di appartenza alla stessa comunità, secondo la regola che “davanti al buffet siamo tutti uguali”).
…se non è interessato a parlare alla platea ma a potenziali clienti. Lo si capisce osservandone i comportamenti durante le pause, al buffet e al termine dell’incontro.
…se nel biglietto da visita il suo ruolo è descritto da tre o più parole, spesso associate in maniera inedita o casuale, tipo: digital transformation strategist, head of social media, qualcosa di tosto consultant.

Il fuffante è redento quando ad esempio riesce a dire, al cliente di turno azienda leader nella produzione di insaccati, che l’idea di aprire un blog sul sito aziendale è una stronzata.

Cheers

[a me sono venuti in testa subito un paio di nomi “altisonanti” della socialsfera…a voi?? ]

[[image above: thank’s Hugh MacLeod!!]]